2 Aprile 2023
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Logistica 4.0 sfida all’ultimo miglio

Importanti e rapidi cambiamenti hanno interessato il comparto negli ultimi anni grazie all’enorme crescita, spinta dalla pandemia, dell’e-commerce. E altri sono dietro l'angolo. Vediamo quali con Filippo Salis, esperto del settore

Fondata a Milano nel 2016 dall’intraprendenza di Filippo Salis, Sfre, Services for Real Estate, si è guadagnata in pochi anni un posto di rilievo come società di Project & Construction Management, specializzata in immobili di logistica e light  industrial. Il gruppo include altre due società, Sfe, Services for Engineering, e Sfcm, Services for Construction Management,  e vanta un team di cento professionisti  con elevate professionalità al servizio della logistica più innovativa. 

Filippo Salis, ceo & founder di Sfre

Il vostro core business è la progettazione di immobili per la logistica, un settore che negli ultimi anni ha subito forti cambiamenti; quali sono oggi  le caratteristiche più importanti?

Grandi trasformazioni hanno interessato la logistica: il contenuto è cambiato e di conseguenza anche il contenitore è cambiato. Noi progettiamo il contenitore e possiamo affermare che oggi siamo alla logistica 4.0,   grazie alla robotica e all’automazione. Che sul fronte degli edifici significa uscire dalle caratteristiche standard, come le altezze, per esempio, che oggi possono  variare dai 18 ai 40 metri, o i muri tagliafuoco che  sono  molti meno e permettono di avere spazi più ampi, o ancora  le certificazioni ambientali ad alto livello che garantiscono la massima flessibilità. 

Come prevedete si svilupperà questo settore a fronte dell’enorme crescita dell’acquisto on line, complice la pandemia, da parte del piccolo consumatore?

La pandemia ha dato una grande accelerata a un processo già in corso. I nostri clienti sono sempre più diversificati: offriamo soluzioni alla grande distribuzione organizzata ma anche alla farmaceutica e all’e-commerce, quello che più incisivamente si è sviluppato negli ultimi anni, con esigenze particolari. Ogni settore ha diverse necessità e la declinazione della flessibilità è d’obbligo. In ogni caso diventa sempre più dominante  la posizione rispetto alla capacità di stoccaggio. 

A proposito di esigenze, qual è la più urgente e incalzante?

Senza dubbio quella che possiamo definire dell’ultimo miglio: l’e-commerce chiede  per sua natura una distribuzione molto più capillare, con magazzini molto più piccoli, di 3-4mila metri quadri di superficie.  E all’opposto ci sono i grandi hub  logistici che arrivano anche a 180mila metri quadri, come quello che abbiamo progettato per Adidas a Mantova, in una posizione chiave sulla direttrice europea del Brennero, investimento globale per un polo logistico sorto all’insegna della massima sostenibilità.

Un parco logistico costruito ex novo, ma la vostra attività prevede anche la riconversione di edifici dismessi: si  tratta di un fenomeno italiano o anche straniero?

La riconversione è sicuramente la formula più sostenibile: pensiamo alle polveri, al trasporto delle macerie e a tutti quei fattori che fanno della demolizione, della quale peraltro noi italiani non siamo mai stati grandi fan, un processo molto più inquinante. La riconversione negli altri Paesi è iniziata anni fa, penso ad esempio alla Gran Bretagna, e noi siamo rimasti indietro, complice anche il fatto che in Italia, più che altrove, bisogna fare i conti con l’aspetto archeologico.

Flessibilità, dunque, ma anche sostenibilità, non solo  ambientale; c’è anche una sostenibilità sociale? 

L’aspetto sociale è duplice perché investe il lavoratore e il territorio.  Quando si parla di sostenibilità si parla di benessere sul luogo di lavoro: oggi costruiamo parchi logistici e in quella parola ci sta tutto. E devono essere parchi anche per il territorio, fruibili dalla comunità. Belli e vivibili. Si genera così un circolo virtuoso perché se c’è buona logistica si sviluppa anche una buona economia che investe tutto il territorio. 

Insomma, una logistica a 360° che punta sull’innovazione. A questo proposito, voi operate con la metodologia Bim (Building information modeling)  a sette dimensioni. Ci spiega di cosa si tratta?

Il Bim permette la ricostruzione virtuale dell’edificio ma va ben oltre la  riproduzione 3D dell’immobile, che si limita a disegnare elementi per poi inserirli nel progetto. Lo step 4D consente infatti la programmazione di tutta l’attività di cantiere legata alle tempistiche, mentre il 5D è il livello dei costi: il sistema è in grado di calcolare il costo dei materiali e del lavoro. Il livello 6D è quello dei parametri legati alla sostenibilità e ai livelli di consumo energetico, mentre il 7D è costituito da un grande data room,  che include tutta la documentazione legata all’edificio, dai progetti, alle conformità degli impianti, fino alle garanzie. È possibile così creare un  vero e proprio alter ego virtuale dell’immobile, con tutti i vantaggi che ne conseguono. Tuttavia,  la nostra sfida non è quella di applicare la metodologia Bim alle nuove costruzioni, quanto quella di utilizzarlo per la riconversione di vecchi edifici:  oggi le nuove tecnologie, come i droni e i laser, ci facilitano.

Davvero una logistica 4.0 che apre le porte a nuovi scenari. Quanto pesano ancora le carenze infrastrutturali legate ai trasporti e le difficoltà burocratiche, che sono le caratteristiche negative del nostro Paese?

Per quanto riguarda gli adempimenti,  in Italia ci sono regole che cambiano non solo da regione a regione ma persino da un comune all’altro. L’unico ente che ha fatto ordine nelle sue normative è il Dipartimento dei vigili del fuoco, che oggi ha norme valide su tutto il territorio nazionale.  Un tassello molto importante ma non sufficiente in un quadro in cui ottenere un permesso per costruire è già una vittoria.

Quindi siamo meno competitivi? 

La nostra competitività sta nell’elasticità mentale, nella quale siamo maestri,  che ancora riesce a livellare i gap competitivi con gli altri Paesi. E fra l’atro i fondi immobiliari sono quasi tutti stranieri, il che ci aggiunge la difficoltà di dover spiegare e giustificare ostacoli che negli altri Paesi non esistono.

E sul fronte dei trasporti? 

Anche su questo fronte il filo conduttore è la flessibilità. Negli ultimi anni si è spinto molto sull’elettrico ma l’esperienza ci dice che l’elettrico non funziona per i grandi truck per i quali è preferibile l’idrogeno.  Il mezzo elettrico è quindi un’ottima soluzione per l’ultimo miglio, ma non per le grandi distanze.  E infatti un grande player dell’e-commerce, che ci ha fatto progettare una grande parcheggio per van elettrici, al momento lo utilizza solo al 20% e ci vorranno anni prima che vada interamente a regime. Per quanto riguarda invece il trasporto su rotaia, in Italia non è facile costruire nuove linee, ma anche in questo caso la parola chiave è riconversione; ripristinare linee esistenti sarebbe possibile e sostenibile. E poi ci sono i porti: il nostro Paese è baricentrico nel Mediterraneo, ma il nostro primo porto per traffico di merci è Trieste, non proprio al centro del Mediterraneo. E Genova? E Civitavecchia? E i porti del Sud? Abbiamo ancora molte carte da giocare e possiamo essere ancora più innovativi. Sfre continuerà ad essere in prima linea per sviluppare potenzialità e soddisfare nuove esigenze.

www.sfre.it 

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